Quando lo sciamano indica la visione il pubblico massificato non guarda né la luna né il dito ma solo il corpo di uno spettacolo privo di contenuti.
Questo paradosso dellʼimmagine come nemica naturale della visione permea tutta la vicenda esistenziale e artistica di James Douglas Morrison (1943-1971), artista colto e teorico di una nuova variante, sperimentale, di teatro tragico in versi, dove il conflitto di Guy Debord contro la società dello spettacolo e le ricerche di Giorgio Colli sulle origini del rito eleusino paiono incarnarsi in una forma inedita di poesia filosofica, mistica ed esperienziale, erede di Campanella e di William Blake, ma anche del Living Theatre e dellʼanticinema situazionista.
Il poeta Gianni DʼElia, studioso di Pasolini e traduttore di Baudelaire, ha recentemente svolto una lezione presso la Biblioteca di Cattolica, in Emilia Romagna, dal titolo "Le visioni di Jim Morrison", riascoltabile presso il podcast di RadioTalpa.
DʼElia, che si sta occupando di Morrison in occasione di un romanzo sincretico e sperimentale a cui sta lavorando da ormai più di quindici anni, sul tema della rivolta poetica contro le origini dualistiche del sistema di pensiero occidentale, pone sul tavolo della discussione estetica presente alcuni appunti preziosi sulla natura fonica (musicale) della visione e sulla sua irriducibilità allʼimmagine.
Lʼimmagine è cioè in grado di occultare con la sua presenza totalizzante la visione poetica, neutralizzando il discorso filosofico e sostituendolo con un feticcio normalizzante: un oggetto muto, incastonato dentro lʼegemonia estetica presente, che non rimanda ad altro che a questa. Così neutralizzato esso viene tramandato in una ripetizione senza più origine di senso. Come il concetto teologico del Dio cristiano, trasformato nei secoli nellʼicona del padre. Così il corpo stesso di Morrison, sostituito dal suo clone spettacolare.
E se "Neppure i morti saranno al sicuro dal nemico, se egli vince. E questo nemico non ha smesso di vincere", come scriveva Walter Benjamin nelle sue Tesi di filosofia della storia, allora il nostro compito dovrà essere anche quello di difendere i morti, tanto dallʼoblio quanto dalla neutralizzazione dei contenuti determinata dalla sovraesposizione mediatica.
Quella di Jim Morrison, secondo DʼElia, è una visione apocalittica e palingenetica, che preannuncia cioè la fine di un mondo, il sistema di pensiero strumentale della borghesia occidentale decaduta dallʼilluminismo ai deserti del capitale, e lʼimminente ritorno sul campo della storia dellʼuomo spirituale.
Utilizzando una luminosa definizione di Mario Tronti, da uno dei saggi oggi raccolti nel libro Per la critica del presente (Ediesse, 2013), potremmo dire che la visione di Morrison collega i moti di rivolta degli anni Sessanta alle origini mistiche e non illuministiche del movimento operaio, lungo una linea di rivoluzione magica che da Campanella arriva a Baudelaire e al cristianesimo eretico e comunardo del 1848 parigino.
Il tema di questa rivolta non si limita al campo politico e sociale dei significati. I protagonisti tradizionali della lotta di classe novecentesca, il proletariato e la borghesia, sono infatti sostituiti da due termini inediti di conflitto, che danno anche il titolo ai due libri di poesia pubblicati da Morrison nel 1970: The Lords (I Signori. Appunti sulla visione) e The New Creatures (Le Nuove Creature).
Qui, nelle forme di una poesia-prosa/riflessioni sullʼimmagine di disarmante lucidità ("Non ci sono più ballerini, gli indemoniati. / La divisione degli uomini tra attore e spettatori / è il fatto centrale del nostro tempo."), la contestazione del paradigma borghese si presenta, come in Bataille, come unʼesperienza interiore che mira ad abolire un intero sistema di pensiero fondato sul dogma della strumentalizzazione automatica dellʼesistente. Il campo di battaglia di questo conflitto è la psiche: "Temi i Signori che sono in segreto tra noi. / I Signori sono in noi.".
Ma le origini eleusine dellʼesperimento di teatro musicale fondato da Morrison, "The Doors", rimandano intimamente al rito iniziatico in cui Dioniso e Apollo si rivelavano, per mezzo di unʼimmagine evocata fonicamente, come il duplice sguardo di uno stesso dio: il dio della contraddizione. La sfida di Morrison, attento studioso di Norman O. Brown e del suo commento post-marxista alla teologia antica, da Marcuse a Bataille, mira dunque al cuore di un nemico più intimo: lʼideologia della scissione e la cultura dualistica occidentale.
Gianni DʼElia individua tre livelli in questo processo di liberazione cognitiva:
- Nel primo livello agisce il borghese, inteso come uomo-massa. Egli è al di qua dei contrari, proietta le contraddizioni allʼesterno di sé identificandosi con un termine e opponendosi allʼaltro della propria scissione.
- Nel secondo livello agisce il poeta. Egli vive dentro la contraddizione. Contempla i propri opposti con lucidità e li pensa nelle forme dellʼossimoro permanente. Non riesce però a risolverli.
- Nel terzo livello agisce infine il mistico. Egli vive al di là dei contrari. Scioglie la contraddizione in unʼoasi di silenzio e può ritrovare, solo perdendo il proprio guadagno, e cioè al di là di ogni principio di potenza utilitaristica e di ogni conformità al tempo strumentalmente scandito dalla produzione e dal consumo di merci e spettacoli (lʼorologio, il nemico antico di Baudelaire), la sua unità.
I Signori sono i custodi dellʼimmagine. Ogni immagine è una norma senza contenuto. Essa chiede di essere riprodotta senza pietà. Le Nuove Creature nasceranno tra le rovine di questa storia purificando la percezione con la musica della visione.